Isolamento sociale o Hikikomori: considerazioni e trattamento

considerazioni generali

Isolarsi: l’isolamento è di fatto un comportamento che esprime lo stare in sé, dentro sé, con sé, in un rapporto unico e speciale con la propria dimensione personale. Le motivazioni dell’isolamento sono variegate e non sempre negative. 

Cosa troviamo in questa dimensione creata dall’isolamento dipende dalla nostra storia, dal nostro personale vissuto, dalla visione che abbiamo di noi, del mondo e di ciò che siamo e facciamo. C’è chi si isola per poco tempo e trova in questo spazio personale la creatività per portare avanti un compito o un progetto, altri ancora si isolano giocando apaticamente al pc o alla ‘play’, per altri l’isolamento è rappresentato dallo scorrere apatico di uno schermo, per altri ancora l’isolamento rappresenta un momento depressivo. Se per la maggior parte di noi isolarsi è un momento – o vari momenti della giornata- per altri rappresenta un comportamento strutturato, reiterato, che si trasforma quindi in stile di vita. Il comportamento dell’isolamento può essere visto in vari modi, ma questi modi dipendono chiaramente dalla natura e qualità di tale comportamento: in alcuni casi può essere un comportamento passeggero che esprime un reale bisogno di raccoglimento, in altri si accosta di più ad un aspetto patologico e depressivo. Qui parlerò dell' Isolamento Sociale Volontario o Hikikomori, una sindrome di Disadattamento Sociale che nasconde ragioni e motivazioni diverse.


inquadramento diagnostico

Che cos’è l’Hikikomori? Il termine deriva dal giapponese HIKU (ritirarsi) e MORU (appartarsi). Diversi studi internazionali si orientano sulla definizione del fenomeno come sindrome, attualmente nel nuovo DSM5-TR è stato inserito tra i concetti culturali di sofferenza, specificando che il pattern comportamentale è stato riportato in differenti contesti tra cui Australia, Bangladesh, Cina, Francia, Italia, Spagna, Corea, Stati Uniti, et.al., confermandosi come fenomeno cross-culturale.

 Anche al di fuori del mondo nipponico la sintomatologia ruota attorno ad alti livelli di solitudine, reti sociali limitate e moderata compromissione funzionale. 

L’Hikikomori si attesta come sindrome di ritiro sociale prolungato e grave, che può comportare la completa cessazione delle interazioni sociali. Può essere ego sintonico, ma alla lunga divenire ego distonico, provocando nel tempo angoscia. E’ Correlato ed associato a condizioni quali disturbo d’ansia sociale, depressione maggiore, PTSD, disturbo da gioco su internet, ritiro scolastico e disturbi di personalità, spesso in comorbilità.

 L’Isolamento sociale può presentarsi come sintomo primario in assenza di patologie psichiatriche o secondario a patologie psichiatriche. 

L’ isolamento sociale in Italia coinvolge circa 120 mila adolescenti che trascorrono su internet oltre 12 ore al giorno, mostrando sintomi importanti di patologie psichiatriche. 

Ma quali sono i fattori che portano all’isolamento sociale? Inizialmente l’isolamento sociale fu considerata una sindrome prettamente culturale, derivante dall’organizzazione della società nipponica, competitiva, conservativa, verticistica e gruppale, focalizzata sul lavoro, basata sul concetto della vergogna sociale, sul considerare chi rimaneva indietro scolasticamente e professionalmente, come un ‘ronin’ – un uomo alla deriva- termine preso in prestito dalla cultura a sua volta Samurai. 

In seguito, anche con l’appiattirsi culturale delle differenze socioeconomiche e di costume tra est e ovest del mondo, tale spiegazione più spiccatamente culturale e localizzata al mondo nipponico, è venuta meno. 

Pur considerando le differenze che ancora permangono tra la società nipponica e quella italiana, ad oggi tali differenze sociali sono andate ad appiattirsi, così come nel resto del mondo occidentale. 

Dagli anni novanta in poi, i casi di ‘ Hikikomori’ sono aumentati in America ed Europa e l’analisi del dato deve essere olistica. Oggi studi di tipo sociale si sono concentrati sulle caratteristiche della società in cui viviamo, che oramai non fa molta differenza alla  localizzazione geografica: i paesi capitalistici hanno comune tendenza culturale e politiche del lavoro, comuni tendenze organizzative della vita collettiva e approcci all’istruzione simile; la competizione, la sensazione di essere in un contesto liquido (Bauman) e in una società di tipo narcisistico (Lash), è un fatto che è dilagato culturalmente anche a causa dell’uso dei social sia che ci si trovi nell’est o nell’ovest del mondo. Abbiamo quindi un contesto sociale in cui tutti noi siamo immersi e che è interconnesso con il nostro vivere personale e privato; c’è uno scambio continuo tra sfera privata e sociale, tra persona e ambiente, in cui le variabili di tipo socio- economico che fanno mutare il nostro vivere sociale non sono da trascurare.

 Considerando il concetto di campo (K.Lewin), siamo organismi immersi in un contesto sociale, dal quale siamo influenzati inevitabilmente.

 Oggi soprattutto, dopo due anni di pandemia e di intensi cambiamenti sociali, è inevitabile guardare ai fenomeni che accadono su larga scala e rappresentano un grido d’aiuto da parte delle nuove generazioni. L’Hikikomori è quindi un fenomeno dovuto a tutto il campo: ambiente/cultura/società e ovviamente all’individuo ed al suo modo di rappresentarsi il mondo ed esperirlo. In una lettura puramente sociale, l’Hikikomori è visto come un tentativo di estrema ribellione ad un mondo troppo veloce, competitivo su ogni livello, incerto e pieno di pretese, privo di sostegno emotivo ed ascolto ma pieno di apparente benessere materiale e pronta disponibilità. Citando le parole di una cliente:  ‘perché devo studiare e andare a scuola se poi il mondo e l’universo finiranno?’. 

 il modello integrato

In questi due anni di pandemia, gli articoli giornalistici sul fenomeno dell’isolamento sociale sono stati diversi e i dati sul disagio dei ragazzi hanno riportato uno spaccato sociale allarmante, con numeri in crescita per quanto riguarda la dispersione scolastica, il fenomeno NEET e l’isolamento sociale, nonché un aumento di problematiche depressive e suicidi per chi non riusciva a laurearsi in tempo. ( L’Espresso, Republica, Studenti suicidi schiacciati dal peso della performance: «Ma eccellere non è prendere 30 agli esami») Tocca chiedersi cosa sta accadendo a livello macro all’interno della nostra società, quali messaggi siano costantemente veicolati dai media, dalla scuola, dalle famiglie e come tutto questo si intersechi e ricada nel privato della salute psicologica di un singolo individuo. È un grosso rischio il ritiro in termini di salute personale e collettiva, poiché una parte della salute è proprio la capacità di stabilire relazioni e rapporti sociali e saper comunicare (Perls, Hefferline, Goodmann, 1951). 

Ed è semplice il perché: è nel mondo, al confine di contatto, nella relazione che esprimo l’energia, maturo me stesso, ricerco un adattamento, incontro l’altro ma anche la mia autonomia e la mia capacità di sviluppo e crescita creativa.

 In solitudine non c’è possibilità di crescita, non faccio altro incontro ed esperienza se non quella con me stesso, non ho altre conferme se non da me stesso.

 Se quindi sempre più persone scelgono il ritiro in varie forme, è forse perché manca una struttura interna capace di supportare il processo dell’incontro con l’altro. Manca un adulto interno solito, ma molto probabilmente, anche introietti genitoriali saldi e positivi. Verso quale società stiamo quindi andando? Verso quali orizzonti collettivi? Se prima era il tempo di liberare ora è il tempo forse di sostenere persone sempre più fragili e scollegate da sé, ma collegate al mondo ‘Internet’. In questo lavoro la dimensione sociale è fondamentale: L’individuo non può essere escluso dal campo sociale, in cui opera e cerca di organizzare il proprio sé in un costante adattamento e riadattamento.

 La società precede  l’individuo con i suoi valori e norme, con la cultura, ed è il dato di realtà al quale guardare per comprendere il mutare dei fenomeni e dei disagi che sono dirette espressioni del tempo specifico in cui viviamo.

 Le letture sul disagio dell’ isolamento sociale in generale in ambito italiano scarseggiano, alcuni contributi sono stati proposti in ambito cognitivo comportamentale e sistemico quasi nessuno in A.T. e Gestalt. 

L’ipotesi che attualmente sostengo è che l’Hikikomori non sia una nuova malattia tout-court, ma una nuova espressione comportamentale di altro disagio clinico; vale a dire che l’isolamento è un comportamento, un’espressione di altra patologia, ma che oggi si manifesta marcatamente in tale forma a causa dei mutamenti sociali che ci hanno attraversato negli ultimi anni.

 La società cambia e con essa l’espressione ‘fenotipica’ della sofferenza. Ma l’essenza rimane, ed è a quest’essenza che dobbiamo guardare.  

In Italia ad esempio abbiamo il più alto numero di NEET, acronimo inglese che sta per ragazzi che non studiano e non lavorano, (3 milioni), all’interno dei NEET c’è una percentuale che oltre a non studiare né lavorare, non hanno vita sociale o affettiva. (Dati Istat). Le ricerche attuali si stanno occupando di quantificare almeno il problema, una delle più recenti in tal senso è del CNR e Gruppo Abele. Il gruppo ha identificato delle differenze nell’espressione del comportamento dell’isolamento tra maschi o femmine, dovute alle differenze di genere nell’ educazione, vedendo i maschi come più propensi al gaming e le ragazze isolate come più propense alla cura della casa. 

Le donne sono ugualmente a rischio isolamento e maggiormente invisibili a causa del bias culturale che vede ancora in Italia le donne come dedite alla cura della casa e intente ad attività domestiche già dalla tenera età. 

Gli Hikikomori in sé possono anche non appartenere al gruppo dei NEET, potendo ad esempio lavorare o studiare da casa, ma non avere ugualmente una vita sociale, tale caratteristica dipende dalla gravità della situazione. Nel nostro contesto in ogni caso, la presenza di tali forme di disagio sociale che si intersecano con quello psicologico, devono far riflettere rispetto al rischio in termini di salute collettiva e spesa pubblica.

 L’Italia, per ragioni che riguardano non soltanto la struttura societaria ma anche l’organizzazione del mondo del lavoro, è tra i paesi Europei con maggiori problematicità per quanto riguarda da una parte l’assenza di persone effettivamente impiegate, dall’altra una popolazione sempre più anziana. La risposta a tale forma di disagio  che va dai NEET fino agli Hikikomori dovrebbe essere quindi multifattoriale, come multifattoriale è il problema: ripensare alle politiche del lavoro, al modello educativo, alle cause psico-sociali, dando risposte che partano quindi dalla scuola per arrivare alle politiche del lavoro, ripensando anche al sistema universitario. Una lettura Integrata è quindi necessaria per poter leggere il fenomeno e poter tentare di dare risposte ad un disagio che sempre più ragazzi portano nelle nostre stanze di terapia, in forma più o meno grave. 

eventi e sintomi precipitanti

Questa sezione è particolarmente importante da tenere in considerazione quando si parla di adolescenti multiproblematici, poiché ogni adolescente è figlio del sistema in cui vive: il PTSD è sotto diagnosticato e rientra tra i disturbi dell’infanzia che se non visti e ascoltati nel tempo producono problematiche comportamentali. 

E’ importante quindi considerare l’isolamento anche come probabile evento emerso a seguito di una storia di abuso e trascuratezza. 

Queste informazioni appaiono particolarmente rilevanti nella ricostruzione della patologia degli adulti nella cui anamnesi personale si può mettere in luce una storia di abusi che, come è ben noto, è presente spesso nei disturbi di personalità.

 In letteratura, è noto che la trascuratezza e l’abuso infantile (abuso inteso in senso generale che va dall'iper-curia all'incuria ad atti di abuso veri e propri) producono diversi esiti non solo in adolescenza ma anche in età adulta, tra cui depressione maggiore e bipolare, PTSD, disturbi alimentari, problematiche importanti per quanto riguarda la socializzazione.

 Gli studi sulle interazioni genitore-bambino nelle famiglie maltrattanti hanno individuato la presenza di maggiori comportamenti disadattivi, rispetto alle famiglie non maltrattanti. I genitori maltrattanti manifestano minore soddisfazione con i figli, percepiscono l’accudimento come più conflittuale e meno gratificante, e utilizzano metodi educativi maggiormente controllanti. 

I genitori abusanti non sostengono e, a volte, interferiscono con lo sviluppo dell’autonomia dei bambini, obbligandoli a vivere in un contesto familiare isolato, favorendo l’isolamento. 

Questi genitori, inoltre, mostrano aspettative inadeguate verso i figli, questo in linea con quanto emerso nelle ricerche sul tema sulle spinte narcisistiche. 

 Altro dato è che l’attaccamento dei bambini vissuti con genitori traumatizzanti sia non solo l’attaccamento insicuro- disorganizzato ma anche risposte disadattive quali confusione, freezing (ossia, congelamento posturale) e rigidità comportamentale.

 Nelle famiglie maltrattanti sono state osservate dinamiche fortemente distorte nella relazione genitore-bambino, caratterizzate dall’aspettativa dei genitori che il bambino possa assumere il ruolo di caregiver nei loro stessi confronti 

È stato ipotizzato quindi che l’Isolamento rappresenti una nuova modalità espressiva della depressione, che tra internet e una casa sempre più high-tech ha trovato nuovi modi di venire a galla, anche al di fuori del Giappone evidenziando quindi l’avvento di internet come lo spartiacque definitivo per quella che è iniziata ad essere una sorta di comportamento- epidemia (Takahiro A. Kato 2002, Lancet). 

L’avvento di Internet è stato un momento epocale, attualmente le generazioni che sono nate dopo internet e dopo gli smartphone, sono a tutti gli effetti nativi digitali, bambini che prima di imparare a scrivere probabilmente sapranno utilizzare un I-pad. 

Parlare di Internet Addict è quindi importante, considerando che in altri stati tale abuso della tecnologia è già definito come vero e proprio comportamento di addict e trattato da tale, essendo spesso in comorbilità con DOC, depressione maggiore e psicosi. (DSM5-TR) Un'altra ipotesi è fornita dallo studio di M. Suwa, K. Suzuki (2013) che riporta come alla base del fenomeno possano esserci quadri di personalità narcisistica fragile o schizoide, che comunque compaiono come tratti stabili a seguito dell’isolamento e non precedenti ad esso, andando a rimarcare come essenziale da differenza tra un isolamento primario e secondario. 


Sotto il comportamento ombrello dell'isolamento sociale possono quindi nascondersi tante storie diverse e diverse sofferenze e differenti sintomatologie che rendono quindi differente l'approccio e le necessità della persona o della famiglia in trattamento.

Una storia vera

La storia qui presentata è vera, ma nomi, dettagli rilevanti, luoghi e tempi sono stati modificati per ragioni ovvie di privacy. Se qualcuno dovesse riconoscersi, è pura casualità.

V. è una ragazza che viene in trattamento qualche mese fa, per un apparente problematica relazionale all'interno della famiglia, problematica che non le consente di vivere serenamente all'interno delle mura domestiche. All'inizio, sentendo forte l'agitazione di V., preferisco accogliere la richiesta iniziale e lasciar emergere piano piano il contorno della sua esistenza. 

Dopo diversi incontri, che effettivamente sciolgono la tensione con la madre, emergono dettagli importanti sulla sua vita: V. non ha nessun amico, né ha mai avuto relazioni amicali significative, non ha mai avuto un partner, si sente ed è di fatto, quasi completamente isolata dal mondo.

 Ha subito diversi episodi di bullismo in passato, ed è vissuta in un clima familiare che in seguito emergerà come molto simbiotico e con una forte tendenza all'isolamento e all'abuso: i genitori erano abituati a punire fisicamente i figli, a tentare di isolarli dagli altri vietando uscite, hobby, feste e altri eventi mondani, obbligando i figli a passare la maggior parte del tempo in casa. Inoltre i genitori di V. non gradivano che i figli fossero esuberanti o facessero troppe richieste e li avevano educati alla modestia in tutti gli ambiti: pochissimo 'shopping' anche quando era necessario e si trattava di abiti necessari e libri, nessun divertimento particolare come cinema o vacanze o campi scuola, inoltre avevano abituato i figli, in particolare la maggiore, a svolgere le faccende domestiche fin dalla più tenera età.

L'unico momento in cui non c'era modestia né limite era a tavola dove c'era invece grande abbondanza.

V. ha vissuto grandi privazioni affettive fino a poter descrivere l'infanzia come luogo di disperazione, Vive quello che potremmo definire un isolamento a media intensità: esce solamente per recarsi all'università e sostenere gli esami, non segue i corsi, poiché preferisce studiare a casa per evitare di incontrare persone, non ha attività di nessun genere a parte sporadiche uscite per fare qualche compera. Per la madre sembra una brava ragazza dedita agli studi ed ai lavori domestici, ma V. è in sofferenza e la sua sofferenza passa sotto traccia all'interno delle mura domestiche e di abitudini che sente la ingabbiano.

 Inoltre fa uno sforzo enorme per mantenere il suo peso e nonostante ciò non ci riesce: negli ultimi anni è ingrassata notevolmente dovuto probabilmente ad un rapporto con il cibo sregolato, frutto di quella che è stata la sua vita.

I primi lavori fatti sono stati inerenti, su richiesta di V., sull'imparare a prendersi cura di sé autonomamente a livello alimentare e di pari passo la richiesta è stata aiutarla a superare la paura di uscire e stare in mezzo agli altri.

Lavorando su questi temi sono emersi una serie di eventi traumatici che hanno comportato tale rifiuto del mondo esterno, una sfiducia dell'altro e della possibilità di difendersi, unita alla sensazione di disvalore profonda.

Sono stati necessari quindi lavori specifici sul trauma e sulle convinzioni di disvalore, nonché lavori specifici sulle emozioni affinché V. potesse riconoscerle. Questo al fine di generare internamente messaggi che fossero per lei positivi e la sostenessero ed andassero a sostituire quel 'genitore negativo' che si stava portando dietro da tanto tempo.

E' emerso poi il desiderio di uscire e affrontare il mondo, ed in questa fase è stato curioso vedere come i componenti della famiglia, piuttosto che appoggiarla, l'abbiano osteggiata: ebbene sì è tipico che in un sistema famigliare, i membri non vogliano il cambiamento dello status quo e si scatenino diverse emozioni quali invidia e gelosia o sensazioni di pericolo se uno dei membri cambia. Questo accade quando lo stato di simbiosi è forte, come spesso succede in famiglie isolate e chiuse su sé stesse.

V. attualmente sta cercando di accettare il fatto che dovrà fare la sua strada, come gli altri membri la propria, forse si rincontreranno o forse no, forse si capiranno o forse no, in ogni caso sente che non può restare immobile lì dov'è, chiusa in casa e senza amici, in ritardo con i suoi desideri; e se questo comporterà un po' di freddezza con la sua famiglia, oggi sembra più disposta ad accettarlo.